Le intenzioni di ricerca sono più importanti delle parole chiave

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Le intenzioni di ricerca sono le idee a partire dalle quali le persone fanno ricerche su Google.

Se ad esempio hai intenzione di cercare informazioni sui costi del biglietto ridotto per il museo del Louvre di Parigi, è possibile che digiterai la query “Louvre Parigi” nella barra di ricerca di Google. A questo punto il lavoro del motore di “risposta” è capire che dietro alla tua interrogazione si nasconde un’intenzione specifica e cercare di rispondervi nel modo più efficiente possibile.

Cerchiamo di capire insieme il processo in base al quale Google coglie il search intent per fornire le risposte più adatte nel maggior numero di casi.

Come fa Google a capire cosa stai cercando?

Google ha tre armi a disposizione.

Conosce tutte le nostre ricerche

Ogni giorno si stimano circa 3 miliardi di ricerche su Google, di cui il 30% mai fatte prima. Google archivia e clusterizza tutte queste ricerche per capire quali possono essere raggruppate in sottoinsiemi e quali sono i rapporti tra tali sottoinsiemi. Immagina ad esempio che ogni giorno un milione di ricerche intorno al Louvre siano tutte grossomodo raggruppate come segue:

  • Come raggiungere in metro
  • Quanto costa il biglietto
  • Orari di apertura
  • Quando conviene andarci
  • Quanto tempo occorre per visitarlo tutto
  • Ristoranti vicino

Nel momento in cui Google riuscisse a capire che la maggior parte delle ricerche vanno in queste sei direzioni, cercherebbe di orientare la tua ricerca mediante il suggeritore, meglio noto come Google Suggestion tool. Il lavoro del suggeritore serve da un lato per aiutarti ad affinare la tua query grezza (Louvre Parigi) e dall’altro per tentare di ridurre il numero di query diverse con la finalità di risparmiare risorse computazionali. Google ti indirizza per tua praticità e per sua utilità.

Sa dove facciamo click dopo aver cercato qualcosa

Un mezzo utilissimo nelle mani di Google è il CTR (click through rate) o tasso di click inteso come rapporto tra i risultati visualizzati e quelli scelti dagli utenti mediante il gesto del click. Se tra i risultati proposti da Google per la ricerca “Louvre Parigi” il 50% degli utenti cliccasse sull’unico il cui titolo è “Orari e costo biglietti del museo del Louvre”, allora Google ne dedurrebbe a ragione che almeno la metà degli utenti che effettuano la ricerca per la query grezza, hanno desiderio di conoscere Orari e prezzo dei biglietti per visitare il museo più celebre di Parigi.

A partire da un dato simile potremmo parlare del concetto di rilevanza delle pagine web, affermando che tra le varie cose di cui può trattare una pagina web sul museo del Louvre, per ottenere un buon posizionamento occorrerà fornire informazioni su orari e costi. Se queste informazioni mancassero la pagina potrebbe comunque ottenere un posizionamento da prima pagina, ma probabilmente non nelle prime tre posizioni. Il CTR nelle pagine di risposta del motore di ricerca aiuta Google a cogliere le reali intenzioni di ricerca del utenti e di conseguenza ad attribuire rilevanza alle pagine web che meglio rispondono a tali intenzioni.

Può studiare i nostri comportamenti sulle pagine che visitiamo

Questo è il punto più controverso dei tre, perché se è vero che Google dispone di un browser proprietario (Chrome) e di un sistema operativo mobile (Android) attraverso cui potrebbe conoscere tutte le abitudini di navigazione di ciascuno di noi, è certamente vero che quando pure ciò fosse legale, richiederebbe una enorme quantità di risorse computazionali. Ora quelle di Google saranno pure enormi, ma non sono illimitate, ragion per cui l’idea di studiarci come tanti topi in gabbia mi pare remota, almeno per ora.

Ottimizza l’esperienza di navigazione
Detto questo, nessuno mi toglie dalla testa che Google faccia analisi comportamentale a campione a partire diverse pagine di risposta importanti, soprattutto quando non riesce a cogliere le search intent degli utenti. È probabile che nei casi in cui il CTR non sia sufficiente a determinare il contenuto più rilevante, Google faccia oscillare il posizionamento dei risultati finché non riesce a cogliere un interesse particolare attraverso il CTR o ancora più in profondità, studiando in certi momenti il comportamento della maggior parte degli utenti sulle pagine web.

Non ho prove di quanto sostengo, ma l’esperienza degli ultimi anni trascorsi su centinaia di progetti web, mi insegna che le pagine maggiormente interagite dagli utenti sono quelle che tendono a ottenere i migliori posizionamenti. Allarga il campo all’intera usabilità della pagina, concentrati sulla rilevanza del contenuto, non semplicemente su quella del testo ed estendi tutto ai criteri di navigabilità complessiva del sito web.

Fa della tua SEO un’esperienza olistica. Il tempo dell’ottimizzazione per le parole chiave è finito da un pezzo. Oggi SEO è l’acronimo di Search Experience Optimization.

Usa bene i software, poi usa bene la testa!

Francesco Margherita

Sito personale : SEO Garden
Sociologo, scrittore, musicista, assistente alla cattedra di Comunicazione, Marketing e Pubblicità presso l'Università Federico II di Napoli, offre consulenza e formazione SEO e cura il blog SeoGarden.net.

Libri scritti da Francesco Margherita

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