Il metodo Loveting per usare i contenuti a livello professionale di branding

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mappa-bisogni-umani-metodo-loveting-professional-branding-aziende-professionisti A distanza di quasi due anni dalla pubblicazione di Loveting!, un libro che si è prefissato di sviluppare tecniche applicative di branding per indagare nella massima libertà le radici stesse dell’agire in tale campo di attività, sono emersi, in modo naturale e senza forzature, alcuni strumenti, tecniche e approcci nel mio lavoro di consulente che adesso vedo riunirsi e coagularsi intorno ad un concetto unitario di pratica del branding che a questo punto non esito a definire Il Metodo Loveting!.

Procediamo con ordine: comincerò a parlare di ciò che ho fatto e di cosa ho ottenuto partendo dai perché, cioè dagli obiettivi di questo nuovo metodo, per passare ai come, cioè alle tecniche per raggiungerli e per concludere infine con i cosa, ovvero gli output, la generazione di valore creata da questo metodo.

I quattro Perché, ovvero i bisogni che deve soddisfare l’azione di branding

Il Metodo Loveting!, coerentemente a quanto sostenuto in Loveting! che distingue tra bisogni e desideri, parte innanzitutto dal riconoscere che esistono quattro bisogni umani fondamentali, che attualmente sono largamente insoddisfatti, ed il primo tra questi è co-creare.

Ognuno di noi ha bisogno di creare qualcosa di nuovo e utile: non parlo qui semplicemente di avere un hobby creativo, intendo invece il bisogno profondo di dare un contributo personale al mondo e al tempo stesso di farlo insieme agli altri.

Sul piano esistenziale questo bisogno è riportabile al bisogno di genitorialità: due persone fondono insieme il loro amore e generano qualcosa di nuovo e prezioso per il mondo, la nuova vita. Lo stesso succede anche sugli altri piani: è qualcosa descritto da Platone nel dialogo tra Socrate e Diotima, quando quest’ultima spiega che esiste una forma di amore che consiste appunto nel creare insieme la Bellezza. Siamo sul piano del fare per il mondo, essere artefici e genitori di una innovazione, piccola o grande, ma in ogni caso dotata della sua propria unicità e creata con il concorso di più persone.

Nel profondo di noi stessi sappiamo bene che trascorrere la nostra vita semplicemente conformandosi a istruzioni operative ad eseguire ciò che ci viene richiesto, lavorare meccanicamente senza mettere qualcosa di veramente nostro in quello che facciamo, è gettare una parte fondamentale del significato dell’esperienza di vivere, è sprecare una delle grandi fonti di significato della propria esistenza. Per questo aspiriamo così profondamente ad esprimerci.

Il secondo bisogno umano profondo è co-incidere. Con questo intendo incidere insieme sul mondo, cambiarlo, migliorarlo.

Questo secondo bisogno appartiene chiaramente alla sfera politica, e deve essere inteso come il bisogno di arrivare a modificare, attraverso la propria capacità di diffondere l’innovazione che abbiamo creato, il settore, l’ambito in cui operiamo, fino ad arrivare a modificarne addirittura le regole e le leggi. Ad esempio: Anita Roddick scopre il California un negozio di cosmetici biologici e non testati su animali, lo riproduce in Inghilterra, crea una catena mondiale, anticipa e favorisce la diffusione dei cosmetici non testati su animali, e oggi, dal 2014, l’Unione Europea vieta la commercializzazione dei cosmetici testati sugli animali.

Si tratta di un bisogno che oggi è, anche sul piano esistenziale, largamente disatteso: abbiamo perso la sensazione che la nostra azione faccia la differenza nel mondo, che possiamo cambiare lo stato delle cose, mentre un tempo non lontano, che io ricordo bene, si diceva addirittura che tutto è politica. Oggi ci sentiamo invece inermi e in balìa di forze globali, titaniche e incontrollabili mentre è proprio dell’essere umani il percepirsi come dotati della possibilità di avere un ruolo nell’ambiente in cui si vive.

Il terzo bisogno è co-crescere. La particella “co” qui è implicita perché non si può crescere e diventare adulti se non con gli altri, nella relazione con l’altro. Oggi la nostra cultura è tipicamente giovanilistica, non attribuisce valore all’invecchiamento e al raggiungimento dello stato adulto per ciò che veramente significa. Non troppo anticamente, le società invece prevedevano, attraverso rituali di passaggio, sacramenti e altre modalità di spinta verso i passaggi di stato della persona, una forte incentivazione, per non dire forte pressione, alla crescita e alla maturazione degli individui. Oggi è vero l’esatto contrario: tutto ci dice che dobbiamo rimanere giovani, che l’età adulta di fatto non esiste dal momento che la fine della gioventù sembra introdurre direttamente alla vecchiaia. E in cosa consiste invece diventare adulti? In moltissime cose, ma fondamentalmente la maturazione del giovane in adulto consiste nel passaggio dallo stato di recettore di energie della comunità, in forma di educazione e sostegno, allo stato di donatore. L’adulto è, come sosteneva Robert Greenleaf, un servant leader, un leader e un servitore insieme, qualcuno che è diventato in grado di concepire se stesso e la propria grandezza come ricchezza che deve porsi al servizio della comunità.

Il quarto bisogno individuato dal Metodo Loveting! è co-trascendersi, cioè uscire dalla visione individualistica, egocentrica ed egoistica che normalmente ci caratterizza. Questo è il bisogno profondo che richiede maggiori spiegazioni per essere compreso e lo facciamo analizzandolo nelle sue componenti.

Emergono, attraverso la mappa dei bisogni sviluppata in Loveting! quattro modalità principali per trascendere se stessi: il primo modo è trovare gioia e senso nella vita, con anima e spirito, con l’esperienza piena dell’esistenza, l’essere vivi qui e ora, e poi con il coglierne il senso, comprendendo il significato complessivo della vita. È quindi sapere cogliere l’attimo così come sentire il significato dell’intero arco dell’esistenza. Il secondo modo per uscire da se stessi si svolge ancora sul piano del tempo, ed è lasciare una traccia di se stessi o almeno provarci lavorando per chi verrà dopo di noi, lasciando un’eredità. Il terzo modo consiste nel cercare di raggiungere l’eccellenza, perdendo la cognizione di se stessi immergendosi nella propria attività, entrando in uno stato di flusso permanente lasciandosi assorbire completamente nell’azione che stiamo svolgendo. Il quarto è salvare, cioè prendersi a cuore profondamente qualcuno o qualcosa tanto da sentirsi chiamati a spendersi totalmente a favore di tale soggetto di aiuto. Chi ha una missione di salvezza infatti, trascende se stesso, mette la propria individualità in secondo piano, in subordine rispetto a ciò che ama.

I quattro Come: il modo per raggiungere i quattro perché

Dalla coagulazione, cioè dalla sintesi della mappa dei bisogni descritti in Loveting! intorno a quattro bisogni principali, è nata poi spontaneamente l’idea del come sia possibile soddisfarli attraverso l’azione di branding e lavorando nelle aziende per soddisfare questi bisogni umani profondi.

Innanzitutto è emerso un primo meta-come, il concetto di processo: il branding non è semplicemente un’azione puntiforme, una serie di atti che possono essere considerati come separati tra loro, ma è piuttosto un flusso che trova nella persistenza, nella ripetizione e nella ritualità il suo primo valore. Il branding che scaturisce da Loveting! è un agire che richiede di essere svolto perché è il migliore agire che possiamo praticare, ha valore in se stesso e prende forza e significato dal suo ripetersi con perseveranza. Emerge qui molto nitidamente la necessità di conformare l’azione economica di branding al concetto di rito, ad un agire quindi valido in sé soprattutto per il modo in cui viene svolto. Il come si fanno le cose, con quale costanza e quale piena applicazione e convinzione, diventa quindi un vero e proprio valore intrinseco dell’agire.

Alla radice di questo potere della ritualità, del fatto che ripetere certe azioni nello stesso modo con assiduità crei valore di per sé, ritengo ci sia il ruolo fondamentale dell’attribuzione di importanza. Se per lungo tempo continui a fare una certa cosa con rispetto, dedizione, serietà, allora di fatto stai conferendo grande importanza a quello che fai e il mondo e forse anche l’universo si chiederà perché ritieni quello che stai facendo così importante. Il rito, prima ancora che forza della continuità che accumula effetti nel tempo, la celebre goccia che scava la pietra, è il messaggio contenuto nel fatto che la tua goccia scavi proprio quella pietra e proprio in quel punto.

Il secondo meta-come è rappresentato dalla particella “co” che abbiamo incontrato già nell’esposizione dei perché, ovvero la partecipazione, la collaborazione nel processo di branding. Con questo termine, partecipazione, non si intende soltanto l’abituale necessità di reale coinvolgimento delle persone dell’azienda nel processo di branding, ma l’inclusione attiva in esso di persone che normalmente ne sono tenute fuori: gruppi di opinione, associazioni, persone che in un modo o nell’altro sono portatrici di istanze nuove, di richieste innovative, ma anche le associazioni di categoria, così come anche persone esperte in crescita personale, tecnica, psicologica e anche spirituale.

E adesso vediamo perché la partecipazione attiva di questo genere di persone è così necessario.

Il primo Come lo definisco Innovation Community Building: questa espressione indica la prima delle quattro fasi del processo di branding impostato con il Metodo Loveting!, quella dedicata all’innovazione, al bisogno di co-creazione. Per rendere l’attività di progettazione di nuovi prodotti veramente continua e aderente alle reali necessità delle persone, l’azienda deve aprirsi al dialogo con quelli che definisco anticipatori etici, cioè coloro che si fanno già oggi portatori di tendenze che si svilupperanno in futuro: dagli animalisti, ai vegani, ai sostenitori del commercio equo-solidale, minoranze che oggi sono scomode, infastidiscono la coscienza della maggioranza, considerate normalmente avversarie delle aziende ma che in realtà sono preziosissime per indicare la direzione in cui sviluppare l’innovazione.

Includere persone normalmente esterne all’azienda ed escluse dal processo di branding implica inoltre trasparenza e apertura, il che ha un valore in se stesso perché crea fiducia nei confronti del brand.

Community Building sono qui due parole che indicano la necessità di creare una vera e propria comunità con queste persone: non si può arrivare a creare insieme se non si è una comunità. Come affermato da Scott Peck, psicologo americano che si è dedicato allo studio del come si crea comunità, il principio base è sempre “prima la comunità, poi i problemi”: occorre prima dedicarsi alla unione tra le persone e soltanto dopo chiamare la comunità a risolvere problemi o affrontare attività operative.

Il secondo Come è il Diffusion Community Building, la fase del processo che intende soddisfare il bisogno profondo di co-incidere, fare la differenza e cambiare il mondo. Se si vuole davvero lavorare per cambiare il mondo, allora è necessario che l’innovazione che abbiamo creato venga adottata anche dai nostri concorrenti. Questa è una considerazione molto controintuitiva rispetto al mantra della differenziazione che è alla base del marketing classico. Ma, per fare un esempio: Volvo, che arrivò a brevettare la cintura di sicurezza a tre punti, quella che si era rivelata più pratica e sicura rispetto ai molti modelli precedenti, ha concesso il libero uso del brevetto alle altre case automobilistiche. Anche Elon Musk ha rilasciato e reso pubblica tutta la documentazione tecnica relativa a Tesla, proprio per accelerare il passaggio verso l’auto elettrica di tutto il settore automobilistico.

Non basta quindi creare innovazione con i propri prodotti e servizi: occorre cambiare la industry cui apparteniamo se vogliamo davvero lavorare per migliorare il mondo e non soltanto i conti della nostra azienda. Per fare questo, occorre creare occasioni di incontro, confronto e scambio con i competitor e cominciare a pensarli come colleghi più che come concorrenti: creare una comunità. L’esperienza dei consorzi, delle denominazioni di origine, dei disciplinari di produzione ha molto da insegnare a questo proposito.

Il terzo Come è il Servant Leadership Program e mira a soddisfare il bisogno di co-maturazione delle persone, a diventare adulti insieme. Consiste nel creare programmi di crescita per le persone sotto forma di veri e propri percorsi di evoluzione. Qualcosa che già esiste da secoli: ad esempio nelle scuole di judo e in ogni altra comunità di crescita che prevede un percorso strutturato di evoluzione delle persone. E questo significa avere un’idea precisa di cosa significhi veramente maturare e diventare saggi, processo che consiste nel diventare capaci di mettersi al servizio della comunità.

Questo è un tema che è già stato sviluppato dagli studi sulla leadership e che è giunto a concepire il leader come servitore: la Servant Leadership di Arthur Greenleaf descrive questa concezione della leadership che consiste nella maturità necessaria per mettersi al servizio del gruppo di cui si fa parte. Ma questo è un come che riguarda, oltre il concetto di leadership come obiettivo interiore a cui tendere, anche uno dei temi classicamente attribuiti al branding, spesso in maniera esclusiva e quindi riduttiva: il brand come creazione di un’immagine. In questo senso, tenendo conto della tendenza all’imitazione che ci caratterizza in quanto esseri umani, il brand deve diventare un’immagine che guida l’evoluzione delle persone.

La scelta quindi dei modelli di comportamento che costituiscono l’immagine del brand diventa funzione importantissima per l’evoluzione positiva delle persone.

Quando parliamo di educazione dei giovani spesso emerge questo argomento, quello dei modelli di riferimento e della loro potenza nell’indirizzare il comportamento: nel contesto del brand, questo significa che un brand può e deve diventare modello di comportamento perché oggi, da un punto di vista della maturazione interiore, tendiamo tutti a rimanere giovani per moltissimo tempo prima di trasformarci in adulti.

In questo ambito, quello della creazione dell’immagine di un modello di comportamento, la mappa dei bisogni di Loveting! fornisce materiale abbondante, dal momento che essa descrive, personificandoli, i bisogni umani. Ogni archetipo è dunque anche una persona capace di una modalità di espressione delle molteplici forme di amore di cui siamo chiamati ad essere espressione.

Quindi, nel corso di questi quasi due anni di lavoro alla luce di Loveting! è emerso un metodo di sviluppo dell’immagine del brand basato sull’utilizzo integrato delle metafore profonde, degli archetipi e dei miti che ho già utilizzato con risultati che mi hanno soddisfatto nella concreta attività consulenziale.

Bisogna infatti mobilitare la comprensione profonda, inconscia, di ciò che stiamo proponendo, capire il significato profondo che si cela nel nostro prodotto o servizio per poi capire di quale amore può essere portatore e come questo possa essere personificato, mitologizzato, espresso cioè in un tema narrativo risonante che tocchi le corde profonde della mente e del cuore.

Il quarto come è Life Culture Program, lo sviluppo di una cultura della vita che ci permetta di soddisfare il bisogno di auto-trascendenza. L’idea di fondo è che possiamo e dobbiamo lavorare identificandoci con la vita stessa, con il suo scorrere nelle forme di vita intorno a noi e non soltanto in quella che scorre in noi stessi, e che in questo modo possiamo davvero uscire dalla prigione del nostro piccolo io. Questo è il tema più profondo e complesso tra i quattro, ma può essere meglio compreso se ricondotto ad una serie di azioni concrete.

Il primo modo di autotrascendersi, contemplare la vita, assaporandola pienamente e cogliendone complessivamente il senso, provando gioia del momento e percependo senso, è un tema già sviluppato, forse inconsapevolmente, dalla pubblicità fatta bene. Quando si spiega infatti il senso profondo del piacere che fornisce l’esperienza della produzione, dell’uso di un prodotto, si esprime il gusto di utilizzarlo in quanto tale e non solo per i suoi risultati pratici, si sta infatti aiutando le persone ad assaporare il sapore della vita. La scena filmica, da “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, che spiega questo concetto: un angelo che spiega ad un altro angelo il suo desiderio di incarnarsi di nuovo in forma umana perché vorrebbe provare di nuovo le sensazioni umane, come, spiega ad esempio, il gusto del caffè, il calore di una tazza di caffè nelle sue mani. Un esempio invece di pubblicità capace di creare senso è quella “per tutto il resto c’è Mastercard”, capace di relativizzare il ruolo del denaro nella vita delle persone con molta saggezza.

Il secondo modo per autotrascendersi consiste nel lavorare per le future generazioni: qui ci sono molti esempi, come le fondazioni Prada, Hermès, Cartier che di fatto sono contenitori culturali capaci, almeno nelle intenzioni, di perpetuare nel tempo l’essenza del messaggio culturale profondo delle aziende che le animano.

Il terzo strumento di auto-trascendenza consiste nel perseguire l’eccellenza: qui si tratta di costruire attività che coltivino appunto il concetto di eccellenza nel settore di appartenenza. Qui si tratta di creare laboratori, centri specializzati dedicati alla coltivazione dell’eccellenza. Il quarto veicolo per l’autotrascendenza è costituito dal prendersi a cuore un problema, creando una specifica attività di studio, osservazione, monitoraggio di esso. In sintesi, quello che accomuna tutte e quattro queste modalità di autotrascendenza è la capacità di sublimare l’esperienza del fare e dell’utilizzare prodotti e servizi su un piano superiore dove trovare vera gioia e vero senso.

I quattro “Cosa”

Da questi quattro Perché e questi quattro Come emergono dunque quattro Cosa, cioè i quattro output, le quattro attività di produzione di valore del branding impostato secondo il Metodo Loveting!

Il primo lato di questo quadrato è il Cosa legato all’innovazione: il Brand Loveting! è innanzitutto Innovazione etica del prodotto/servizio, un processo che concretizza in prodotti e servizi migliori per le persone l’azione creatrice dell’azienda aperta alla collaborazione con stakeholder sociali anticipatori di tendenze etiche.

Il secondo lato è Cambiamento Settoriale, l’innovazione della intera industry di appartenenza.

Il terzo è Crescita Personale, che si ottiene proponendo modelli di comportamento capaci di ispirare le persone nel loro percorso di maturazione.

Il quarto output del Brand consiste nella Creazione Culturale, capace di sviluppare una riflessione sui tre temi precedenti sublimandoli in prodotti culturali trasmissibili nello spazio e nel tempo.

Riassumendo tutto questo, arriviamo a una nuova definizione di branding alla luce del Metodo Loveting! in quanto innovazione del processo stesso di branding: il Branding Loveting! è il processo partecipativo aziendale che mira a creare innovazione di prodotto e di servizio, migliorare la industry di appartenenza, favorire la maturazione delle persone e creare nuova cultura della vita attraverso il coinvolgimento degli anticipatori etici, dei competitor, proponendo nuovi modelli di comportamento e creando una nuova cultura della vita. E infine, siccome le definizioni risultano sempre un po’ troppo didascaliche e meccaniche, concludo affermando che in fondo, il Metodo Loveting! è il metodo che vuole trasformare il processo di branding da attività volta alla creazione di un’immagine seducente ad un vero e proprio nuovo progetto di vita che porti nuova gioia a chi decide di parteciparvi.

A presto!

Gianluca Lisi

Sito Web : Create Group
Consulente in Archetypal Branding e Marketing Transpersonale, facilitatore di gruppi co-creativi, docente presso Ninja Academy, co-founder di Create! Group con Mirko Pallera.

Libri scritti da Gianluca Lisi

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