Growth Hacking: cos’è e perché farlo adesso

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Conosci il modo di dire “la metà dei soldi che spendo in pubblicità sono sprecati, solo che non so quale metà sia”?

È esattamente per risolvere problemi del genere che nasce il growth hacking: vediamo esattamente cos’è e perché è importante parlarne adesso. Il growth hacking è un mindset, e un metodo di lavoro, che viene dalla Silicon Valley. Si tratta di un movimento giovanissimo (ti basti pensare che il termine è stato coniato nel 2010!) che si propone come una “contro-cultura” nel panorama del marketing.

Ma cosa significa contro-cultura del marketing?

Significa che il modo di fare marketing di oggi si discosta troppo spesso dai principi illuminati di Kotler, Godin, Porter, Moore e altri autori che sono stati determinanti nel dare peso al nostro settore.

Questo porta il Marketing ad essere visto come un lavoro puramente creativo, orientato alla pubblicità, alla conoscenza del marchio, alla persuasione a tutti i costi, quasi al lavaggio del cervello del cliente. Il tutto caratterizzato da un ritorno sull’investimento non misurabile.

Tutto questo è falso. O meglio: è falso se tieni conto dell’importanza dei dati, della centralità del cliente, dell’incertezza nell’innovazione, e del nuovo paradigma del mercato.

Sean Ellis, la persona che ha coniato il termine Growth Hacking, al tempo aiutava diverse aziende ricoprendo questo ruolo di “project manager della crescita”. Quando si confrontava con i colleghi, sorgeva l’esigenza di distinguersi nettamente da un marketing come sinonimo di pubblicità e comunicazione blanda, e invece presentare il tipo di lavoro che lui per primo portava avanti. Un lavoro basato su cicli di sperimentazione, analisi dei dati e collaborazione continua tra chi crea il prodotto e chi lo vende.

Nuovi prodotti per nuovi mercati (digitali)

Andiamo con ordine.
Nell’ultimo decennio sia i prodotti che i mercati sono cambiati profondamente:

  • la quantità di messaggi pubblicitari a cui siamo sottoposti giornalmente, grazie al digitale, è aumentata esponenzialmente. Siamo sempre più insensibili al marketing e sempre più distratti
  • quando parliamo di prodotti o servizi, sempre più spesso ci riferiamo ad elementi digitali. Questo significa minimi costi fissi (no magazzini, no logistica, no personale, ecc.) e massima scalabilità
  • i canali di Marketing Digitale ci permettono di lavorare su una immensa mole di dati per ottimizzare la performance. Prima del digitale, i media tradizionali non permettevano questo tipo di trasparenza e di controllo
  • il ROI che si può ottenere su questi canali digitali fa sì che grandi aziende, con grandi budget, investano massivamente creando un clima competitivo spesso schiacciante per piccole imprese.

Eppure sempre più spesso si sente parlare di startup che, anche con poche risorse, riescono a scalare il business in pochi anni e diventare colossi del mercato come Facebook, Whatsapp, Uber, e tante altre.
Come hanno fatto?

Hacking e dati, ma non come stai pensando ora!

Hacker non significa necessariamente cybercriminale.
Alla base, un hacker è qualcuno che usa il pensiero laterale per risolvere problemi con soluzioni non convenzionali.

Che valore può avere questo applicato al marketing?

Per poter “aggirare” il sistema, devi prima conoscere il sistema. Tutto ciò che fa un growth hacker si basa sull’analisi dei dati, e deve avere un impatto sui dati. Non è misurabile? Non si fa.

Deviare da quello che stanno facendo tutti, può significare scoprire un’opportunità che non sta cogliendo nessuno. Quando ti ritrovi a dover competere con brand molto forti, o con costi di marketing molto alti, questo approccio “alternativo” chiamato Growth Hacking può aiutarti a scoprire nuovi canali o strategie per raggiungere lo stesso obiettivo.

Un esempio: ti è mai capitato che un’app ti chiedesse di invitare degli amici ad usarla in cambio di un premio? Ad oggi si tratta di una pratica molto comune, ma al tempo fu Dropbox la prima startup ad utilizzare una strategia simile. E quando sei il primo a scoprire una strategia che funziona, hai tutti i vantaggi dell’oceano blu.

È esattamente grazie a questa continua ricerca di nuovi modi per ottimizzare i risultati che alcune startup riescono a crescere esponenzialmente in pochi anni. Tentativo su tentativo, analisi dopo analisi, sono riusciti ad “hackerare” la loro crescita.

Ma il Marketing non lavorava anche lui sulla crescita?

Il concetto di crescita aziendale presuppone una visione olistica dei risultati raggiunti dall’azienda. Questi risultati desiderati devono essere prima di tutto chiari al management, e poi trasmessi a tutto il team. Gli obiettivi determinano gli indicatori di performance che usiamo per misurarne il raggiungimento (KPI), e questi indicatori determinano a loro volta i processi con cui si organizza il lavoro.

Senza obiettivi chiari, rilevanti, e misurabili, non si può parlare di crescita.
E sopratutto senza questa visione di crescita a 360°, non è detto che i vari dipartimenti dell’azienda lavorino per lo stesso obiettivo!

  • Crescita per un designer potrebbe significare consegnare più interfacce in meno tempo
  • Crescita per un programmatore potrebbe significare ottimizzare il codice per un prodotto più snello
  • Crescita per un product manager potrebbe significare avere un prodotto più completo
  • Crescita per il customer support potrebbe significare ricevere meno lamentele
  • Crescita per un marketer potrebbe significare avere più traffico sul sito.

Chi ha la risposta giusta? Probabilmente nessuno.
“Crescere” è un fenomeno frutto di una serie di azioni sinergiche.
Gestire l’azienda a compartimenti stagni (o “silos”) non fa altro che ostacolare questa collaborazione interna, disperdendo il focus verso micro-obiettivi che hanno poca (o nessuna) correlazione con le metriche che sono veramente sintomo di crescita.

Un esempio concreto: Coca Cola che recentemente “boccia” la figura del CMO (Chief Marketing Officer, ovvero il responsabile del marketing) in favore di un CGO (Chief Growth Officer, responsabile della crescita). Il motivo di questa scelta? Una brand awareness che aumenta ma un fatturato che si abbassa.

Un growth hacker cosa sa fare in più, rispetto ad un classico marketer?

In grandi aziende come Coca Cola, portare il mindset del growth hacking significa prima di tutto occuparsi del cambio di paradigma culturale, proprio come se il growth hacker fosse un Innovation Manager focalizzato sui processi interni.

A regime infatti il growth hacker è il responsabile di un processo. Più un project manager che un direttore creativo. Le sue responsabilità ricoprono la selezione delle idee da testare, la gestione del team, l’analisi dei dati e la creazione di documentazione relativa all’apprendimento validato.

Per poterlo fare, un growth hacker (o growth marketer) deve essere in grado di interfacciarsi con tutti i reparti dell’azienda. Questo significa, almeno ad alto livello, saper parlare il linguaggio della User Experience, della programmazione, della comunicazione e dell’analisi dei dati.

Oltre a questo, specie in piccole aziende o startup Early Stage, è importante che chi si occupa di crescita sia autonomo nel lanciare piccoli test per validare le sue idee.

Questo potrebbe voler dire creare dei mockup, delle landing page, delle campagne, o dei piccoli sistemi di automazione che gli permettano, nel minor tempo possibile, di imparare il più possibile dalla risposta del mercato. Proprio in base a questi piccoli test, veri e propri esperimenti, viene allocato il budget.

Inizia anche tu, da qui, a migliorare le performance del tuo business con il Growth Hacking.

Luca Barboni - Federico Simonetti

Sito Web : Growth Hound
Luca Barboni è un Growth Hacker, imprenditore e public speaker: è stato tra i primi ad occuparsi di Growth Hacking in Italia. Federico Simonetti si occupa di marketing e comunicazione su motori di ricerca e social media.

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